Dissolvenze della forma, labirinti della narrazione
L'iperromanzo come vertigine in "Casa di foglie" di Mark Z. Danielewski
Il romanzo contemporaneo ha spesso cercato di esplorare i propri limiti, giocando con la forma fino a farla coincidere con la sostanza narrativa. In Casa di foglie (2000), Danielewski realizza un esperimento letterario radicale in cui narrazione, tipografia, e supporto cartaceo si fondono in un unico organismo testuale.
Il romanzo d’esordio di Danielewski rappresenta una delle opere più radicali dell’iper-narrativa contemporanea. Opera stratificata, labirintica e metatestuale, si inscrive nel solco di una genealogia letteraria in cui la forma stessa diventa contenuto, e dove l’atto della lettura si trasforma in esperienza.
In questi casi si parla di ‘letteratura ergodica’.
Il concetto di ‘letteratura ergodica’ viene formulato per la prima volta nel 1997 da Espen Aarseth nel saggio Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature. Il termine deriva dal greco antico ἔργον (érgon, “lavoro”) e ὁδός (hodós, “percorso”), e viene mutato dal linguaggio della termodinamica, dove “ergodico” indica un sistema in cui ogni stato possibile è accessibile nel tempo tramite il movimento.
Aarseth lo applica alla teoria letteraria per distinguere tra:
Letteratura non ergodica: testi convenzionali, che si leggono linearmente, dove lo sforzo richiesto al lettore è minimale e determinato dalla sequenza.
Letteratura ergodica: testi in cui una porzione non banale di sforzo interpretativo, cognitivo e talvolta fisico è necessaria per attraversare il testo stesso.
In breve: nella letteratura ergodica, il lettore deve fare qualcosa di più che voltare pagina. Deve esplorare, scegliere, ricombinare, saltare, decifrare.
Le sue caratteristiche fondamentali sono:
Non-linearità: il testo non procede secondo una sequenza fissa; è modulare, frammentario, esplorabile.
Struttura ricombinabile: il lettore può o deve ricostruire la narrazione assemblando parti non contigue.
Interazione fisica o mentale: si può trattare di scelte (come nei libri-gioco), di decifrazione (enigmi, codici), di manipolazione materiale (libri da ruotare, smontare), o digitale (ipertesti, narrativa interattiva).
Polifonia epistemica: più livelli di verità, di narrazione, di interpretazione, spesso in conflitto tra loro.
La letteratura ergodica sfida la nozione moderna di autore come legislatore assoluto del senso. In essa il lettore diventa un esploratore, un “lettore-esecutore” (performative reader); il testo si comporta come un sistema, non come un flusso; il tempo della lettura non è lineare né prevedibile: può interrompersi, tornare indietro, biforcarsi.
Nel pensiero di Aarseth, il cybertesto (la categoria più ampia della letteratura ergodica) è un sistema semiotico che include la macchina di lettura: non solo l’opera, ma anche la sua interfaccia, materiale o digitale.
Il romanzo di Danielewski incarna pienamente la definizione di Aarseth:
Non si può leggere senza sforzo cognitivo attivo.
Richiede rotazioni fisiche, consultazione di appendici, analisi di codici.
Costringe il lettore a costruire autonomamente la mappa narrativa.
Frammenta il tempo e lo spazio testuale in modo irrimediabile.
In questo senso, Casa di foglie rappresenta non un’eccezione, ma un vertice teorico della letteratura ergodica. Un libro che non racconta una storia, ma mette in scena il processo stesso della lettura come discesa, come perdita, come esplorazione traumatica.
Partiamo da un assunto: l’iperromanzo non è un genere, ma un vettore: una modalità di produzione e ricezione narrativa in cui la linearità si dissolve e la struttura si moltiplica. Joyce, B.S. Johnson, Cortázar, Nabokov, Calvino e Wallace sono soltanto alcuni dei nodi di questa rete. Con l’avvento del digitale, questa tendenza si acuisce: l’ipertesto diventa paradigma teorico e metafora epistemologica. In tale orizzonte, l’opera di Danielewski si configura come una risposta organica alla tensione postmoderna tra forma e contenuto, memoria e trauma, centro e margine.
Non è possibile parlare di Casa di foglie senza considerare la sua materialità. Il libro è un artefatto progettato per far deragliare la lettura convenzionale. Impaginazioni impossibili, rotazioni, vuoti bianchi e neri, sovrapposizioni tipografiche e semiotiche. La casa di Ash Tree Lane, protagonista del libro, si riflette direttamente nella struttura del libro: entrambi sono ambienti architettonici da attraversare, da esplorare, da subire. Il supporto fisico diventa così un’estensione narrativa del contenuto.
La trama è complessa, stratificata e narrativamente disorientante. Può essere raccontata su tre livelli principali:
Il documentario (The Navidson Record): Il cuore del romanzo è il racconto (fittizio) di un documentario girato da Will Navidson, fotografo di guerra, che si trasferisce con la sua famiglia in una casa in Virginia. Presto scopre che l’interno della casa è più grande dell’esterno: si apre un corridoio impossibile, che conduce a un labirinto in continua mutazione, buio e apparentemente infinito. Navidson e altri esplorano questo spazio con videocamere e strumenti, ma più si addentrano, più la casa si espande, diventando una metafora del trauma, della perdita, della disintegrazione psichica e fisica. Il documentario diventa culto underground.
Il manoscritto di Zampanò: Il racconto del documentario è ricostruito da un uomo cieco, Zampanò, che ha lasciato un manoscritto critico e annotato, come fosse una tesi accademica sul film. Il manoscritto è pieno di note a piè pagina, fonti apocrife, citazioni inventate, contraddizioni interne e riferimenti incrociati. Il tono accademico contrasta con l’orrore descritto.
Il racconto di Johnny Truant: Il manoscritto viene trovato da Johnny Truant, un giovane tossicodipendente con problemi psicologici. Mentre legge e riorganizza il testo, Johnny inizia a perdere il contatto con la realtà: è ossessionato dalla casa, pur non avendola mai vista. I suoi commenti si inseriscono nel testo come note marginali, raccontando la sua discesa nella paranoia e nella follia.
Danielewski dunque costruisce una macchina narrativa a livelli:
Il Navidson Record, falso documentario sulla casa impossibile.
Il manoscritto di Zampanò, cieco e ossessivo analista del film.
Johnny Truant, che annota, distorce e subisce il testo.
L’editore, che interviene con glosse e appendici.
Questa polifonia genera un effetto di palinsesto: ogni voce è eco o parodia dell’altra. Non esiste una verità testuale stabile, solo una proliferazione ermeneutica che destabilizza l’idea stessa di “romanzo”.
La casa che si espande è un labirinto impossibile, più grande all’interno che all’esterno, priva di centro, in costante mutazione. Ma essa è anche simbolo del trauma: ciò che si apre improvvisamente nel quotidiano, ciò che non ha senso né uscita. Il testo stesso è costruito secondo principi labirintici: si può solo perdercisi, mai dominarlo. Il lettore esplora la casa come esplora il libro, in un rapporto di immersione e disorientamento che rispecchia la vertigine del postmoderno.
In Casa di foglie, il lettore non è mai esterno alla storia. Deve piegare fisicamente il libro, decifrare codici, seguire percorsi interrotti. È costretto a fare esperienza del testo come spazio. In questo senso, Danielewski attualizza ciò che Cortázar e Nabokov avevano solo iniziato, rispettivamente con Rayuela e Fuoco pallido: il lettore è agente, creatore, e insieme vittima della struttura narrativa.
Leggi. Sbaglia. Ricomincia.
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Il romanzo usa la tipografia come sistema simbolico:
Testi incolonnati come corridoi.
Pagine quasi vuote come apnea semantica.
Parole che ruotano, si rincorrono, si dissolvono.
Non si tratta di estetica, ma di semiotica tipografica: ogni configurazione ha senso. La pagina diventa spazio diegetico, non solo supporto.
Casa di foglie è un romanzo che si legge con il corpo, con l’occhio, con la memoria e con il dubbio. La sua forma è il suo messaggio. In esso, il testo non è solo una sequenza di segni, ma uno spazio abitabile e ostile, un labirinto semiotico che rispecchia le fratture dell’identità contemporanea. Danielewski eredita e radicalizza le sperimentazioni di Nabokov, Cortázar, Calvino, Borges, Wallace e compagnia bella, costruendo un’opera che non può essere semplicemente letta, ma esperita.