Parliamo di ipertesto. E di come ha ridefinito la narrativa
L'ipertesto ha costituito una svolta epocale, al pari della stampa a caratteri mobili, che ha trasformato la scrittura e la fruizione dei testi – e ha segnato l'evoluzione dell'uomo tipografico.
Ipertesto vuol dire tutto e vuol dire niente – vuoi per la sua natura tendenzialmente astratta, vuoi per il suo essere in bilico tra il divertissement e lo sterile esercizio di stile che ha coinvolto informatici, teorici della letteratura e scrittori.
L’idea, a suo modo rivoluzionaria, che stava alla base di questa astrazione, era di dare vita a una nuova tipologia di testualità, che ridefinisse i rapporti tra testo, pagina e lettori – per offrire una nuova modalità di fruizione della letteratura, che travalicasse i limiti imposti dalla stampa e coinvolgesse in maniera più profonda (e a tratti dinamica) chiunque vi si approcciasse.
L'ipertesto è un concetto ambiguo, che può essere interpretato come un costrutto testuale, un mezzo per la distribuzione delle conoscenze o una tecnologia della scrittura. La parola ‘ipertesto’, infatti, viene utilizzata per indicare sia il software o programma per computer che consente di creare e gestire questi tipi di testi, sia l'effettivo prodotto testuale a disposizione del lettore.
Il primo a parlare di ‘ipertesto’ è stato, negli anni Sessanta, il sociologo statunitense Ted Nelson, che, sulle orme di quanto teorizzato da Vannevar Bush nel ‘45, lo definì
«scrittura non sequenziale, testo che si dirama e consente al lettore di scegliere, qualcosa che si fruisce meglio davanti a uno schermo interattivo […]; un ipertesto è una serie di brani di testo tra cui sono definiti legami che consentono al lettore differenti cammini». 1
Vien da sé che, nella visione di Nelson, l’ipertesto incarnasse l’idea di testi digitalizzati, fruibili mediante una nuova tecnologia che avrebbe modificato le attuali modalità di stampa.
Altri scrittori, come ad esempio Roland Barthes, hanno descritto l'ipertesto come una «galassia di significanti»2 in cui i blocchi di parole o immagini sono collegati in modo non lineare e non gerarchico, permettendo più percorsi di lettura.
Ma è con George P. Landow, uno tra i più noti studiosi di informatica umanistica, che si arriva alla sintesi perfetta. Landow, infatti, enfatizza il valore dell'ipertesto come strumento di scrittura che determina una diversa esperienza di lettura rispetto a un testo stampato; e sottolinea come questo supporto permetta di creare una struttura di testo più flessibile e interattiva, che consente al lettore di seguire percorsi multipli e di accedere a informazioni aggiuntive.
L’ipertesto, specifica Landow, «denota un testo composto da blocchi di testo – ciò che Barthes definisce “lessie” – e da collegamenti elettronici che uniscono tra loro questi blocchi […]. I collegamenti elettronici possono unire sia lessie esterne all’opera – per esempio il commento all’opera stessa di un altro autore, o testi paralleli oppure contrastanti – sia lessie interne a essa; in questo modo creano un testo che viene concepito come non lineare o più propriamente come multilineare o multisequenziale».3
«L’ipertesto è un testo composto di blocchi di parole (o immagini) connesse elettronicamente secondo percorsi molteplici in una testualità aperta e perpetuamente incompiuta descritta dai termini collegamento, nodo, rete, tela, percorso».4
Altri studiosi, come Bolter, considerano l'ipertesto come un tipo specifico di testo, che influenza anche un determinato atteggiamento culturale. Bolter evidenzia particolarmente l'aspetto spaziale della scrittura ipertestuale, come una tessitura di segni grafici in cui la presenza dell'immagine è fondamentale. L'ipertesto, quindi, è un intreccio di segni grafici e fonetici, che arricchisce e potenzia la nozione di "testo" che, di per sé, non è mai totalmente lineare.
Come abbiamo visto, l'ipertesto non gode di una definizione univoca e spesso le sue caratteristiche sono sfumate. Tuttavia, si può affermare che rappresenta un potenziamento del testo tradizionale, con elementi quali la linearità, la coerenza tematica, la coesione interna, l'intento comunicativo e la collocazione spazio-temporale.
In tal senso, la narrativa ipertestuale si presenta come una delle espressioni più convincenti dell'idea di ipertesto.
Nonostante sia abbastanza recente (i primi esempi risalgono agli anni '90), questa narrativa presenta elementi differenti rispetto a quella tradizionale e si può vedere come una sua frantumazione o una sua rielaborazione. Così come la narrativa tradizionale, la narrativa ipertestuale ha ripreso e sviluppato diversi generi, oltre ad aver assunto forme diverse come racconti o romanzi.
L’introduzione dell’ipertesto costituisce un evento di importanza storica paragonabile all'introduzione della tipografia a caratteri mobili, che apre la strada a una radicale riconfigurazione della pratica della scrittura così come la conosciamo, e delle nostre concezioni riguardo alla testualità, alla narratività e al ruolo dell'autore.
Partendo da questa riflessione, e sulle orme della Galassia Gutenberg teorizzata da McLuhan, potremmo ipotizzare l’esistenza di una Galassia Qwerty. La prima annunciava «la nascita dell’uomo tipografico», mentre questa seconda ne analizza la sua evoluzione.
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T. H. Nelson, Literary Machines, pubblicato in proprio, Swarthmore, Pa. 1981, trad. it. Literary Machines 90.1, Padova Muzzio, 1992.
R. Barthes, S/Z, Seuil, Paris 1964, trad. it. S/Z, Torino Einaudi, 1970.
P. Delany - G. P. Landow, Ipertext, Hypermedia and Literary Studies: the State of Art, in Hypermedia and Literary Studies, ed. by P. Delany e G.P. Landow, The Mit Press, Cambridge (Mass.)-London 1991.
George P. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna, Baskerville, 1993.