Il termine letteratura ergodica viene introdotto nel 1997 dal teorico dei media Espen J. Aarseth nel suo testo fondamentale Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature. Il concetto si fonda su una distinzione operativa: in una narrazione ergodica, il lettore è chiamato a compiere uno sforzo non banale per percorrere e costruire il testo, in contrasto con la lettura “lineare” o tradizionale in cui l’unico atto richiesto è quello di scorrere lo sguardo sulla pagina. In altre parole, nella letteratura ergodica il lettore non si limita a interpretare, ma deve anche navigare, decidere, scegliere percorsi, attivare sezioni del testo: l’esperienza di lettura si fa dunque performativa e strutturalmente partecipativa.
I labirinti testuali: Borges e l’origine dell’ipertesto mentale
Quando Aarseth introduce il concetto di letteratura ergodica, molti studiosi si affrettano a cercare nel passato letterario quegli autori che, pur scrivendo prima dell’ipertesto digitale, avevano già intuito o addirittura messo in scena una forma di lettura non-lineare, partecipativa, labirintica. Tra questi precursori, il nome di Jorge Luis Borges emerge con una naturalezza quasi inevitabile: è nei suoi racconti che si manifesta per la prima volta, in forma compiuta, l’idea di un testo che si biforca, si moltiplica, si rifrange in specchi narrativi dove il lettore deve orientarsi come in un labirinto mentale.
“Il giardino delle sentieri che si biforcano”: un archetipo letterario
Nel racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano (1941), Borges propone una struttura narrativa che prefigura l’ipertesto: un libro immaginario che contiene tutte le possibili versioni della storia, sviluppate simultaneamente. Il protagonista, Yu Tsun, scopre che il suo antenato, Ts’ui Pên, non ha scritto un’opera univoca ma ha creato una narrazione in cui ogni scelta narrativa apre nuove diramazioni, ciascuna altrettanto reale. La logica causale lineare si dissolve in favore di una logica reticolare e probabilistica.
In termini narratologici, si potrebbe dire che Borges qui trasforma il tempo in spazio. Il testo diventa una struttura multidimensionale che non si attraversa in un’unica direzione, ma che si esplora. Come dirà più tardi Aarseth, l’ergodicità non è questione di tecnologia, ma di struttura testuale: Borges, con l’immaginazione del suo libro infinito, ha creato un ipertesto ante litteram.
Labirinti, biblioteche, specchi: metafore della complessità
Il labirinto non è solo una figura retorica nella narrativa borgesiana, ma una vera e propria struttura epistemologica. È la forma stessa del mondo, del sapere e del testo. La Biblioteca di Babele, altro racconto emblematico, descrive un universo composto da un numero infinito di stanze esagonali, ciascuna contenente volumi con tutte le possibili combinazioni di lettere. È una visione cosmica e claustrofobica della conoscenza, in cui il lettore deve cercare un senso tra le infinite possibilità.
Così come il lettore della Biblioteca cerca il libro-verità, il lettore ergodico cerca il proprio percorso tra sentieri divergenti, nella consapevolezza che ogni lettura è una scelta e una perdita. Ogni bivio testuale implica una rinuncia a tutte le strade non percorse. Borges anticipa così una poetica della molteplicità e dell’indecidibilità, che sarà centrale nelle narrazioni ergodiche successive.
Dall’ipertesto mentale al paradigma interattivo
Nella tradizione classica, il lettore è interprete passivo: decifra, comprende, decodifica. In Borges, e nella letteratura ergodica in generale, il lettore diventa anche costruttore del testo. La sua lettura non è una ricezione ma una composizione. L’opera si dà nella sua totalità solo attraverso l’attraversamento del lettore, che ne attualizza una versione tra le molte potenziali. Non si tratta più di “leggere il testo”, ma di muoversi nel testo.
È qui che Borges, pur scrivendo nel pieno del secolo breve, anticipa il lettore postmoderno e post-digitale: un lettore che non cerca verità, ma esperienze di lettura; che non teme la complessità, ma la abita; che sa che ogni percorso è arbitrario eppure necessario. In questo senso, Borges non è solo uno scrittore visionario, ma un teorico implicito della letteratura ergodica.
La macchina del senso: OuLiPo, Calvino e le strutture combinatorie
Se Borges ha aperto lo spazio della biforcazione immaginaria e dell’ipertesto mentale, il gruppo dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), fondato nel 1960 da Raymond Queneau e François Le Lionnais, ha tentato di costruire una vera e propria officina della letteratura potenziale, in cui la scrittura non è più concepita come ispirazione individuale, ma come sistema combinatorio, dispositivo formale, gioco strutturato. L’OuLiPo porta alle estreme conseguenze la convinzione che la forma genera senso, e che il testo possa essere programmato come un algoritmo. In questa visione, l’autore si fa ingegnere, il testo macchina, e il lettore – ancora una volta – costruttore del proprio percorso interpretativo.
L’OuLiPo: costrizione come generatività
La poetica oulipiana si fonda sul paradosso creativo della costrizione: limitare le possibilità formali della scrittura (ad esempio, scrivere un romanzo senza usare mai la lettera “e” come in La scomparsa di Perec) non riduce la libertà, ma la moltiplica. In questo senso, la costrizione non è censura ma potenziamento strutturale: è una macchina che produce combinazioni, percorsi, varianze.
Raymond Queneau, in Cent mille milliards de poèmes, costruisce un’opera formalmente ergodica: dieci sonetti i cui versi possono essere combinati liberamente, generando 10¹⁴ possibilità. Non si tratta solo di ludismo combinatorio, ma di una vera riflessione sulla testualità come sistema parametrico, in cui l’opera non si dà come oggetto chiuso, ma come campo di possibilità da esplorare.
Calvino e la narrativa combinatoria
All’interno di questo orizzonte, Italo Calvino rappresenta il ponte tra l’esperienza oulipiana e la narrativa italiana. In Lezioni americane (postume, 1988), Calvino delinea i suoi ideali estetici – leggerezza, molteplicità, esattezza – che prefigurano una letteratura programmabile. Ma è in romanzi come Le città invisibili (1972) e soprattutto Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) che Calvino costruisce testi aperti, frammentari, reticolari.
Nel Viaggiatore, il lettore è protagonista esplicito: entra in libreria, inizia una lettura, ma viene continuamente interrotto e trasportato in un nuovo libro, in una spirale potenzialmente infinita di incipit e digressioni. Il romanzo è una meta-narrazione sul desiderio di leggere, ma anche una riflessione sulla condizione postmoderna del testo: instabile, incompleto, mai del tutto posseduto.
La lettura diventa così un atto ermeneutico e performativo, in cui il lettore deve orientarsi, raccogliere indizi, costruire significato in un’opera che resiste alla totalità. In questo senso, Calvino traduce in forma narrativa una delle intuizioni fondanti della letteratura ergodica: l’opera non si consuma nella lettura, ma si apre in essa.
Il lettore come co-autore combinatorio
Nei testi oulipiani e in Calvino, l’atto di lettura è pensato come interazione con una macchina combinatoria. Non si tratta solo di interpretare un contenuto, ma di esplorare una struttura potenziale. Ogni lettura è un’esecuzione diversa della stessa architettura testuale. Come nell’ipertesto, il lettore non avanza in una linea retta, ma naviga tra possibilità strutturate, vincolate da regole implicite o esplicite.
L’opera oulipiana non è infinita, ma è programmata per contenere il molteplice: il suo senso non sta in un significato stabile, ma nell’atto stesso della sua combinazione. La letteratura diventa macchina per pensare il possibile – e il lettore, come un giocatore, ne attiva percorsi e variazioni.
Dal cartaceo al digitale: l’ergodica nell’era dell’ipertesto
Con l’avvento delle tecnologie informatiche e l’espansione della cultura digitale, la letteratura ergodica trova un terreno ideale per esprimere in forma concreta ciò che autori come Borges, Queneau e Calvino avevano solo immaginato: un testo nativamente reticolare, scritto e strutturato per essere percorso in modo non lineare. L’ipertesto elettronico – reso possibile dall’invenzione del link – segna un passaggio epocale: la potenzialità combinatoria del cartaceo si fa effettività interattiva.
L’ipertesto come struttura e come metafora
Il termine ‘hypertext’ viene coniato nel 1965 da Ted Nelson per indicare un sistema di scrittura e lettura non sequenziale, in cui ogni nodo testuale può rimandare ad altri attraverso collegamenti attivi. A differenza del testo tradizionale, l’ipertesto digitale non si legge ma si naviga, non si percorre ma si esplora. Il significato non è lineare né progressivo, ma emerge dalla sequenza di scelte compiute dal lettore.
In ambito teorico, studiosi come George P. Landow e Jay David Bolter hanno analizzato la portata epistemologica dell’ipertesto, collegandolo al postmodernismo, alla decostruzione e alle teorie della ricezione. Landow, in particolare, ha sottolineato la continuità tra i concetti derridiani di différance e il funzionamento del testo ipertestuale, in cui ogni significato è sempre differito e differenziale.
Dall’ipertesto mentale al paradigma interattivo
Il primo grande esempio di letteratura ergodica digitale è Afternoon, a story (1987) di Michael Joyce, realizzato con il software Storyspace. Si tratta di un racconto frammentato in brevi blocchi, collegati tra loro da link che il lettore può selezionare. Non esiste un percorso privilegiato: ogni lettura è una variante tra le molte, ogni decisione modifica la traiettoria narrativa.
La storia – una riflessione sulla memoria, la percezione e la perdita – assume significato solo nella somma parziale e arbitraria dei suoi frammenti. Come aveva teorizzato Aarseth, questo tipo di testo richiede sforzo non banale da parte del lettore, che deve decidere attivamente dove andare, cosa leggere, e come interpretare ciò che ha lasciato indietro. È l’esperienza dell’assenza strutturale: ogni scelta è anche una rinuncia.
Codice, lettura e autorialità nella scrittura digitale
Con il digitale, la scrittura non è più solo una pratica semiotica ma anche una pratica computazionale. L’autore diventa anche programmatore, architetto di percorsi e possibilità. Il testo si trasforma in un ambiente, in uno spazio interattivo, e il lettore in un soggetto immerso, più simile a un utente o a un giocatore che a un interprete passivo.
Si afferma qui una nuova forma di autorialità distribuita: il significato non è più depositato in un testo chiuso ma emerge nell’interazione tra lettore e struttura. L’ergodicità non è più solo una metafora – come in Borges – ma una condizione tecnica effettiva, costruita attraverso il codice.
Questa trasformazione comporta anche una ridefinizione del libro stesso: da oggetto finito a sistema aperto, da contenitore a rete. Il testo non è più dato, ma generato in tempo reale, in una molteplicità di versioni che nessun lettore potrà mai comporre del tutto.
Letteratura ergodica oggi: tra romanzi a bivi, videogiochi e narrazioni transmediali
Nel tempo la letteratura ergodica si è ibridata con altri media, superando il formato ipertestuale classico per assumere forme più complesse e pervasive. Il suo principio costitutivo – il coinvolgimento attivo del lettore come co-autore – sopravvive e si rinnova in romanzi cartacei che mimano la struttura del gioco, in opere editoriali che si presentano come oggetti narrativi espansi, nei videogiochi narrativi e nelle forme di narrazione transmediale. L’ergodicità non è più solo una struttura testuale: è un dispositivo esperienziale.
Romanzi a bivi, testi-mondo e oggetti narrativi espansi
Opere come Casa di foglie (2000) di Mark Z. Danielewski incarnano una forma di narrativa cartacea che sfrutta pienamente la materialità del libro per costruire percorsi multipli, tipografie stratificate, note a piè di pagina che si rincorrono tra piani diegetici. Il lettore deve ruotare il libro, saltare pagine, decifrare codici. L’oggetto stesso si fa labirinto da abitare.
In S. (2013), progetto di J.J. Abrams e Doug Dorst, il romanzo si sdoppia in un libro dentro il libro (La nave di Teseo) e in una serie di commenti manoscritti, appunti, inserti cartacei. La lettura si complica: non c’è un ordine certo, ma una costellazione di livelli che si intersecano. Il lettore, come un detective o un archivista, deve ricostruire la storia attraverso indizi dispersi.
Allo stesso modo, Fuoco Pallido (1962) di Nabokov – spesso considerato retroattivamente un testo ergodico – anticipa questa tendenza attraverso una narrazione che si costruisce tra un poema fittizio e un apparato di note ipertrofico e disturbante. La verità non è data: è montata attraverso l’interazione interpretativa.
Narrazioni transmediali e forme ibride
La diffusione del digitale e dei social media ha inoltre favorito lo sviluppo di narrazioni transmediali, in cui la storia si articola attraverso media diversi – video, testo, immagini, social – e richiede una fruizione frammentata e ricombinabile. L’universo narrativo si espande, e il lettore è anche spettatore, follower, utente.
Opere come Welcome to Night Vale o Marble Hornets, nati come podcast o serie YouTube, si estendono su blog, archivi fittizi, account Twitter narrativi, creando un ecosistema di senso in cui l’accesso è parziale, mai lineare. L’ergodicità si traduce in esperienza transmediale, dove ogni supporto fornisce un pezzo del puzzle.
Anche nel mondo editoriale, progetti come Inanimate Alice (Kate Pullinger) mescolano testo, suono, interazione e immagini animate, ponendo il lettore in una posizione dinamica e immersiva. Il confine tra lettura e esperienza multimediale si dissolve.
Una sfida radicale
Attraverso il filo rosso che unisce Borges, l’OuLiPo, l’ipertesto digitale e le narrazioni ibride contemporanee, emerge una trasformazione profonda della natura stessa del testo e del rapporto che instauriamo con esso. La letteratura ergodica non è soltanto una tecnica o un dispositivo narrativo: è la manifestazione di una mutazione culturale che riguarda la nostra esperienza del senso, del sapere e della realtà.
In un mondo caratterizzato dall’infinita disponibilità di informazioni, dalla moltiplicazione dei punti di vista e dall’instabilità delle verità, la lettura ergodica rispecchia e interpreta la condizione contemporanea. Il testo non è più un contenitore rigido, ma un organismo vivente che si attiva, si moltiplica, si ridefinisce ad ogni gesto del lettore. È un labirinto, sì, ma anche uno specchio: ci costringe a riconoscere la nostra responsabilità nel costruire significati e a confrontarci con l’assenza di un centro saldo e definitivo.
Questa esperienza ci pone di fronte a una sfida radicale: smettere di cercare il testo “giusto” o “vero” per abbracciare invece la molteplicità delle possibili narrazioni e delle nostre interpretazioni. La letteratura ergodica ci insegna che leggere significa abitare l’incertezza, muoversi nel rischio dell’ignoto e accettare che ogni scelta apre nuove vie e chiude altrettante porte. In questo senso, la lettura diventa un atto creativo, una pratica di libertà e al tempo stesso di disciplina, dove la tecnica diventa una forma di resistenza alla passività culturale.
Infine, l’eredità della letteratura ergodica va oltre la letteratura stessa: essa interpella le forme stesse del pensiero e dell’esperienza nell’era digitale, suggerendo che la complessità, la partecipazione attiva e l’interazione sono elementi imprescindibili per comprendere la realtà contemporanea. Forse, allora, la letteratura ergodica non è soltanto un modo di scrivere o leggere, ma un modello epistemologico, un paradigma attraverso cui imparare a orientarsi in un mondo che, come i labirinti borgesiani, è complesso, plurale e sfuggente.