Fino a poco tempo fa, leggere era un gesto intimo. Una faccenda silenziosa. Ti sedevi, aprivi il libro, e lasciavi che le parole ti portassero altrove. Il libro era una cosa solida, fisica. Pesava nella borsa, aveva un odore, lo riempivi di sottolineature, magari con una matita a portata di mano.
Poi è arrivato l’ebook. Leggero, pratico, silenzioso anche lui, ma diverso. All’inizio ci sembrava solo una copia digitale del libro di carta. Una versione più comoda. E invece era qualcosa di più profondo: un cambio di forma, e quindi di significato. Perché quando cambiano le forme in cui abitiamo le storie, cambiamo anche noi.
L’ebook non è solo un modo diverso di leggere: è un nuovo tipo di oggetto culturale. Ci permette di evidenziare, cercare, cliccare, saltare. Ci porta dentro un modo di leggere più fluido, quasi a misura del nostro tempo iper-connesso. E non è detto che sia un male.
Sì, la lettura rischia di perdere profondità. Ma può anche guadagnare in libertà. In movimento. In dialogo. Il punto, forse, non è difendere il libro di carta come se fosse un’opera d’arte in via d’estinzione. Ma chiederci: cosa può diventare la letteratura, oggi? Cosa può fare un testo, quando diventa interattivo?
Il libro che risponde: l’ebook come racconto che si muove
Ci sono ebook che non si limitano a mostrarti parole. Ti chiedono di agire. Di scegliere. Di toccare lo schermo. Di esplorare. Non è più solo una questione di “leggere”, ma di partecipare. Il racconto non si sviluppa in una direzione sola, ma si apre come una mappa, piena di percorsi possibili.
Sono storie che ti coinvolgono come se fossi dentro a un gioco, o a un film. Hai bottoni da premere, suoni da ascoltare, illustrazioni che si animano. Alcuni romanzi si leggono solo se attivi il GPS. Altri cambiano in base a come li tocchi.
Questo tipo di ebook non è più un libro, ma un sistema. Un’esperienza immersiva. E come tutte le esperienze, chiede di essere vissuta. Il lettore non è più un destinatario, ma un protagonista. E anche l’autore cambia pelle: non più solo scrittore, ma designer di esperienze.
È una sfida e un’opportunità. Perché da un lato si rischia l’effetto speciale fine a sé stesso. L’interattività che diventa solo rumore. Ma se è fatta bene, può aprire mondi nuovi. Può farci sentire di nuovo parte del racconto. Dentro la storia, e non più solo davanti.
Storie che si scrivono camminando
In questi nuovi formati, il lettore non è più un lettore. È un partecipante. Uno che compie scelte, che costruisce il proprio percorso, che decide dove andare.
La letteratura interattiva somiglia un po’ ai videogiochi. Non nel senso stretto, ma nel modo in cui si crea il senso: giocando. La storia prende forma nel tempo in cui la attraversi. È il tuo modo di leggere – il ritmo, le pause, i gesti – che modella il racconto.
È un modo di leggere che assomiglia molto alla vita, dove le cose non succedono tutte in fila ma in modo caotico, spesso imprevedibile. Questa forma narrativa ci dice che non c’è più un’unica verità da scoprire, ma tante esperienze da vivere.
È una nuova forma di intimità. Più dinamica, meno contemplativa. E in fondo, è anche una sfida: perché ci chiede di abbandonare l’idea del lettore passivo. Ci chiede di metterci dentro, di prenderci responsabilità. È una letteratura che non si subisce. Si attraversa. Si sceglie.
Chi racconta cosa? Autori, lettori e il potere condiviso
Una volta era semplice: c’era un autore che scriveva, un editore che pubblicava, un lettore che leggeva. Ognuno al suo posto. Adesso i confini si sono spostati. L’autore diventa una figura più complessa: scrive, certo, ma costruisce anche esperienze, interazioni, scenari. Non è più un narratore, ma quasi un regista.
E il lettore, a sua volta, entra in scena. Non solo per ricevere, ma per rispondere. Per scegliere. Per cambiare. A volte, addirittura, per scrivere.
Ma attenzione: non è vero che tutto è aperto. Anche nei libri interattivi, le strade sono già tracciate. Sei libero di scegliere, ma solo tra opzioni che qualcuno ha previsto per te. È una libertà apparente, come quella dei social: clicchi, scorri, reagisci, ma sempre dentro un sistema che decide cosa puoi fare.
Eppure, anche così, si apre uno spiraglio. Perché l’interattività – se non si riduce a effetto – può farti sentire parte. Può farti sentire coinvolto, chiamato in causa. E allora diventa più che un gioco: diventa un modo nuovo di costruire senso. Insieme.
Autorialità e controllo: chi scrive quando nessuno scrive?
Nel momento in cui il lettore comincia a scegliere, interagire, costruire percorsi diversi dentro la stessa storia, succede qualcosa di interessante: l’autore si ritira. O meglio, cambia volto.
Non è più il demiurgo onnisciente che decide tutto dall’alto. Non è più colui che ha l’ultima parola. È un progettista invisibile. Uno sceneggiatore che lascia indizi, disegna traiettorie, ma poi affida il racconto alle mani di chi lo attraversa.
E allora ci si chiede: chi sta davvero scrivendo?
In apparenza, è il lettore a farlo. Ma le sue scelte si muovono dentro un perimetro già tracciato. La sua libertà è condizionata. È come entrare in una stanza piena di porte: puoi scegliere quale aprire, ma le porte sono già lì. Le ha costruite qualcun altro.
È un’illusione di controllo, come quella che viviamo ogni giorno online. Siamo liberi di navigare, certo. Ma i nostri gesti sono guidati da algoritmi, da interfacce, da logiche di design pensate per indirizzare i nostri comportamenti.
Anche nei libri interattivi accade qualcosa di simile. L’autore non scrive più tutto, ma scrive la struttura. Non racconta la storia, ma le sue possibilità. Si ritira dal testo, ma resta dentro l’architettura. È una forma di potere più sottile, ma non per questo meno forte.
Eppure, in questo gioco di scambi, c’è anche una possibilità bellissima: che autore e lettore smettano di essere figure contrapposte. Che diventino alleati. Complici di una stessa avventura narrativa. Un patto nuovo, più aperto, più onesto.
Non si tratta di decidere chi comanda. Ma di accettare che la scrittura, oggi, è una relazione. Una conversazione tra chi costruisce e chi attraversa. Tra chi lascia tracce e chi le segue. E forse, proprio lì, nasce un nuovo modo di raccontare. Dove nessuno scrive da solo. Ma nessuno smette di scrivere.
Tornare a leggere come si torna a casa
Non serve fare la guerra tra carta e digitale. Non è questa la posta in gioco. La domanda vera è: cosa ci spinge ancora a leggere? Cosa cerchiamo, quando entriamo in una storia?
L’interattività può sembrare una distrazione. Ma può anche essere un ponte. Un modo nuovo per tornare dentro le storie. Non per perderci, ma per ritrovarci. Perché alla fine, che sia su carta o su schermo, la letteratura è ancora uno spazio in cui fermarsi. Respirare. Pensare.
E magari riconoscerci. In un personaggio. In una frase. In un bivio. Lì, in quel momento, la tecnologia scompare. E la lettura torna a essere quello che è sempre stata: un modo per sentirci un po’ più umani.